Nel 2010, oltre alla sperimentazione Logi, decisi di lanciare un'altra sfida altrettanto ambiziosa: uno studio sull'Enterobius vermicularis. Questo parassita, che infesta l'intestino umano, è una delle principali cause di infestazioni globali. Nonostante l'esistenza di farmaci efficaci, la sua prevalenza rimane alta in tutto il mondo. Una delle principali ragioni di questa diffusione è la mancanza di strumenti diagnostici adeguati. Infatti, i test comunemente disponibili, come l'esame parassitologico e lo scotch test, hanno una sensibilità che può scendere fino al 20%, rendendo difficile individuare il parassita con certezza.
L'idea dietro lo studio era ambiziosa: sviluppare una metodica innovativa che fosse in grado di rilevare il parassita con una sensibilità decisamente più alta. Tuttavia, per realizzare un’impresa del genere, era necessario ricorrere alle più moderne tecniche di biologia molecolare, che stavano progredendo a ritmo rapido. Una di queste tecniche era la PCR (Polymerase Chain Reaction), una tecnologia rivoluzionaria che permetteva di ottenere milioni di copie identiche di una molecola di DNA partendo da quantità infinitesimali di acido nucleico. Nonostante l'entusiasmo, la sfida si presentava ardua. Non solo mancavamo delle apparecchiature necessarie, costose e complesse, ma ci mancavano anche le competenze specifiche.
Fortunatamente, in quel periodo avevo avuto diversi incontri con il dott. Angelo Andriulli, primario di Gastroenterologia dell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Gli avevo parlato del Corso di Scienze Biomediche e del nostro progetto. Un giorno, venne a casa mia con la moglie e trovò i ragazzi dell'Agorà nel mio studio mentre si esercitavano al microscopio. Rimase profondamente colpito dalla loro passione e competenza. Colto dall’opportunità, gli chiesi se fosse stato possibile accogliere alcuni dei nostri ragazzi nel laboratorio di Biologia Molecolare di San Giovanni Rotondo per imparare a utilizzare la PCR e condurre gli esperimenti necessari per lo studio sull'Enterobius. Non esitò nemmeno un istante e, con grande disponibilità, si mise subito al lavoro.
Era un’impresa ardua: difficilmente si potevano far entrare nei laboratori soggetti non professionisti, tanto più se minorenni. Ma Andriulli, con la sua perseveranza e determinazione, parlò con gli amministrativi dell'IRCCS per risolvere le complicazioni burocratiche e organizzò un incontro presso Casa Sollievo della Sofferenza per presentare il progetto del Corso di Scienze Biomediche e la proposta di studio sull'Enterobius. Alla fine, grazie alla sua insistenza e al suo impegno, riuscì ad ottenere non solo l’autorizzazione per la frequenza del laboratorio da parte di tre dei nostri ragazzi, ma anche la piena collaborazione di Casa Sollievo per lo studio.
Così, Aldo Ummarino (16 anni), Michela Pucatti (17 anni) e Gaetano Pezzicoli (17 anni) iniziarono la loro avventura nel laboratorio di Biologia molecolare, diretto dalla dott.ssa Gisella Piepoli. Di questi tre giovani allievi, Aldo è stato il più assiduo frequentatore, accumulando oltre 1500 ore documentate di lavoro. Entrò in quel laboratorio come un liceale e ne uscì da medico. All'inizio della sua frequenza, Aldo viveva a Cerignola e, per raggiungere il laboratorio di San Giovanni Rotondo, doveva affidarsi al padre, Federico. Ogni volta, il povero Federico doveva percorrere 60 km in un solo tragitto, tornando indietro e aspettando pazientemente a San Giovanni mentre Aldo lavorava. Per Gaetano e Michela, la situazione non era da meno. Michela, dopo la scuola al V Liceo Scientifico di San Severo, rinunciava al pranzo e al ritorno a casa, prendendo il pullman per San Giovanni Rotondo e rientrando solo a tarda sera.
Aldo portò avanti la ricerca sull'Enterobius vermicularis per anni. Nel laboratorio di Lesina si occupava del trattamento dei campioni, dell'estrazione del DNA e della sua purificazione, mentre a San Giovanni si svolgeva la PCR, la reazione a catena della polimerasi. Il cammino, però, non fu facile. La strada per arrivare a una metodica efficace fu costellata da ostacoli. L'estrazione del DNA del verme dal materiale fecale, soprattutto se presente in concentrazioni basse, si rivelò una sfida ardua. In più occasioni, ci siamo trovati sull'orlo della resa, ma la determinazione di ciascuno ci spinse a non mollare. Alla fine, il nostro lavoro ha portato a una metodica diagnostica di altissima sensibilità e specificità, la prima al mondo concepita specificatamente per uso clinico.
Questa ricerca, che avrebbe segnato un traguardo significativo per il nostro gruppo, sarà inviata a una rivista scientifica nelle prime due settimane del 2022. Ma al di là del risultato, l'esperienza di San Giovanni Rotondo rimarrà indimenticabile per tutti noi. Quella fatica, quella perseveranza, quell'entusiasmo, sono stati il motore che ha alimentato il nostro cammino.
Oggi, nel 2021, i tre protagonisti di questa impresa sono arrivati lontano. Aldo, dopo aver conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia, è entrato nel dottorato di ricerca all'Humanitas di Milano, dove si dedica alla ricerca di base in immuno-oncologia. Gaetano, laureato in Medicina e Chirurgia, sta proseguendo la sua specializzazione in Oncologia a Bari, dove è coinvolto anche in ricerche nel campo oncologico. Michela Pucatti, laureata in Farmacia, ha intrapreso la specializzazione in Farmacia ospedaliera presso l'Università di Firenze.
La loro storia non è solo una testimonianza di successo, ma anche una dimostrazione del potere della passione, della perseveranza e dell'amore per la scienza.