La mia passione per l’elettronica nacque quasi per caso, come spesso accade con le cose più importanti della vita. Era un tardo pomeriggio del 1976 quando mi trovai a casa di Primiano Augelli, un uomo sulla quarantina, impiegato all’Agenzia delle Entrate di San Severo, ma conosciuto in paese soprattutto per il suo talento di elettrotecnico. Era l’unico in tutto il borgo a muoversi con sicurezza in quel mondo fatto di fili, circuiti e misteriosi apparecchi, e per questo la sua fama lo precedeva.
Quella sera avevo accompagnato un amico, Andrea Ricciardi, a trovare la zia. Varcata la soglia, i miei occhi si posarono subito su una scena che sarebbe rimasta impressa per sempre nella mia memoria. Primiano era seduto in un angolo semi-oscuro della stanza, accanto a una finestra dalla luce fioca, vicino a un bancone di lavoro che somigliava più a un piccolo laboratorio. Il piano era invaso da componenti elettronici, fili aggrovigliati e attrezzi di ogni tipo, mentre una lampada da tavolo gettava una luce calda e concentrata sul suo spazio di creazione. Lui, completamente assorto, stava armeggiando con uno strano strumento, probabilmente un oscilloscopio o un multimetro, misurando con pazienza chissà quale segnale nascosto tra quei circuiti intricati. L’atmosfera era sospesa, quasi magica. Il silenzio rotto solo dal lieve ronzio di qualche apparecchio e dal ticchettio delle sue mani esperte.
In quel momento, qualcosa dentro di me si accese. Rimasi lì, immobile, folgorato da quell’incanto fatto di luce e mistero, da quel mondo che sembrava tanto complicato quanto irresistibilmente affascinante. Era come se avessi scoperto un universo nascosto, un luogo dove la scienza e la creatività si intrecciavano in un’armonia segreta. Fu così, in quel tardo pomeriggio, che il seme della mia passione per l’elettronica venne piantato.
Qualche settimana dopo quel pomeriggio che aveva acceso la scintilla, mi tornò in mente una pubblicità che avevo visto sul Topolino. Si trattava della Scuola Radio Elettra di Torino, una scuola per corrispondenza che offriva corsi professionali in diversi ambiti tecnici. Tra questi, uno in particolare catturò la mia attenzione: il corso di radio stereo a valvole e transistor.
Senza esitazione, decisi di inviare una richiesta di informazioni. Passarono un paio di settimane, poi mi arrivò a casa una brochure dettagliata. Sfogliandola, rimasi sorpreso e affascinato nel scoprire che il corso non si limitava alla teoria, ma includeva anche lezioni pratiche, durante le quali si costruivano con le proprie mani gli strumenti di laboratorio. Il pezzo forte era la realizzazione finale di un ricevitore radio a transistor, capace di captare onde lunghe, medie e la modulazione di frequenza (FM). Quella brochure divenne presto il mio tesoro più prezioso. La portavo sempre con me, la leggevo e rileggevo ogni mattina durante il viaggio in pullman verso la scuola, lasciandomi trasportare in un mondo di suoni invisibili e circuiti misteriosi. Un giorno, per pura coincidenza, incontrai sul pullman proprio Primiano Augelli. Fu un incontro che, a posteriori, capii essere un altro passo decisivo nel mio cammino verso l’elettronica.
Ne approfittai subito: mi sedetti accanto a lui, tirai fuori la mia preziosa brochure e gli chiesi un parere, quasi timoroso ma pieno di speranza. La sorpresa fu enorme quando scoprii che proprio lui aveva imparato a diventare tecnico elettronico grazie al corso della Scuola Radio Elettra di Torino. Quel racconto accese ancor di più il mio entusiasmo, come se una porta si fosse spalancata davanti a me. Ma c’era ancora un ultimo, grande ostacolo da superare: il denaro. Per iscriversi al corso servivano oltre 700.000 lire (circa 350 euro), una somma che all’epoca sembrava quasi un tesoro inarrivabile. Per avere un’idea, l’abbonamento mensile del pullman da Lesina a San Severo (FG) costava appena 5.400 lire (circa 2,5 euro). La mia famiglia era di umili origini: mio padre pescatore e mia madre, che con amore e sacrificio si era reinventata sarta per aiutare il bilancio familiare. Per loro, quei 700.000 lire erano un sogno lontano, quasi impossibile da realizzare. Ricordo vividamente le giornate in cui tormentavo mia madre con le mie insistenze, mentre lei, con infinita dolcezza e un pizzico di malinconia, cercava di farmi capire che le risorse semplicemente non c’erano. Quell’amore, quella realtà così concreta eppure così dura, rimanevano un peso sul mio desiderio, ma non riuscivano a spegnere la fiamma della mia passione.
Alla fine, forse per disperazione o per amore, mia madre accettò che facessi il corso. Trovammo un compromesso: pagare a rate, 27 mila lire (circa 12,5 euro) al mese, ricevendo due lezioni alla volta. Per oltre due anni, ogni mese attendevo con trepidazione il plico contenente lezioni teoriche e componenti per la pratica.
Le emozioni nel costruire i primi circuiti erano indescrivibili. Passavo intere notti col saldatore in mano e ricordo ancora la commozione quando, per la prima volta, sentii la voce di un uomo uscire da quel piccolo ricevitore radio assemblato da me.
Benedico la scelta e lo sforzo della buonanima di mia madre: i frutti di quel corso hanno arricchito profondamente la mia vita e non solo la mia.
Un secondo, importante impulso alla mia formazione in elettronica mi venne da Nuova Elettronica, una rivista mensile italiana dedicata all’hobbistica elettronica. Era una pubblicazione molto curata, capace di catturare l’interesse del lettore con contenuti di qualità. Oltre agli approfondimenti teorici, la rivista proponeva kit per la realizzazione di dispositivi che spaziavano dai piccoli gadget alle radio, dagli amplificatori ai ricevitori satellitari.
La particolarità di Nuova Elettronica stava nel fatto che, accanto alle istruzioni di montaggio, ogni kit era accompagnato da una spiegazione teorica dettagliata del suo funzionamento. Questo approccio consentiva di apprendere non solo il “come” ma anche il “perché” delle tecniche impiegate, rendendo l’apprendimento completo e concreto.
Conobbi Nuova Elettronica nel 1992, quando decisi di realizzare uno scacciatopi per il ristorante di mia suocera. Ricordo con affetto quelle ore trascorse sul terrazzo di casa a Marina di Lesina (FG), mentre assemblavo il dispositivo insieme a mio figlio Primiano.
Da allora, divenni un lettore assiduo: comprai sempre più spesso la rivista e, nel 1996, sottoscrissi un abbonamento che mantenni con passione per oltre dieci anni. Acquistai anche diversi libri consigliati dalla rivista per approfondire la mia cultura elettronica.
A Nuova Elettronica devo molto: è grazie a questa fonte che ho acquisito solide conoscenze sui microprocessori e sul linguaggio di programmazione, oltre a realizzare progetti complessi come l'Mt 21-42/Endofaster
Infine, la passione per l’alta fedeltà — l’HiFi, High Fidelity — che ha segnato un capitolo indimenticabile della mia vita. Tutto ebbe inizio in una notte speciale, tra il 22 e il 23 febbraio del 1996, in un luogo forse inaspettato: la stazione ferroviaria di Venezia Mestre. Ero in viaggio con Loris Poli, un carissimo collaboratore e amico, da Bologna a Monaco di Baviera, diretti a Ulm per presentare un lavoro a un congresso di Gastroenterologia. Avevamo una lunga attesa notturna a Venezia, un’intera notte vuota da riempire. Fu allora che decisi di entrare in un’edicola, e il mio sguardo cadde su una rivista che cambiò per sempre il mio modo di vivere la musica: Costruire HiFi, numero 19. La copertina era dominata da un disegno nitido e affascinante della valvola 845, un’icona di eleganza e potenza. Quell’immagine risvegliò in me un ricordo lontano, il vecchio corso di Radio-Stereo a valvole e transistor della Scuola Radio Elettra di Torino, frequentato ai tempi del liceo. Quella notte, dimenticai il sonno e mi immersi completamente nella lettura della rivista, pagina dopo pagina, come se ogni riga fosse una melodia da scoprire.
Fu un autentico colpo di fulmine, un amore a prima vista che si sarebbe trasformato in una vera e propria “malattia” dell’anima. Da quel momento in poi, la musica e l’elettronica si fusero in un’unica passione travolgente, spingendomi a esplorare senza sosta mondi diversi e affascinanti. Sperimentai ogni filosofia progettuale: dall’amplificazione a stato solido a quella a valvole, passando per le classi A pura e AB, le configurazioni single-ended e push-pull. Studiai e misi alla prova diffusori chiusi e open-baffle, sistemi monovia e complessi crossover a quattro vie, inseguendo la perfezione sonora. Alla fine di questo lungo viaggio, approdai al mio sistema definitivo: Antu. Con Antu oggi allieto le mie ore d’ascolto, immergendomi in un’esperienza sonora che è al tempo stesso tecnica e poesia, scienza e magia.