Torna a casa, è un brano che parla di separazione e di perdita. Non è però la solita e scontata storia d’amore. Meglio, l’occhio disattento e miope rischia di leggerci solo questa. In realtà, il brano racconta lo sfogo e il pianto di un uomo che ha perso (non la sua donna ma) la sua musa ispiratrice (Marlena), cioè l’ideale di libertà, colei che gli ha fatto scoprire la sua vera natura e la sua vera essenza.
Quello che il brano vuole dire è che, se non si seguono le proprie inclinazioni, il proprio sentire interiore, la propria indole, se si fa andare via Marlena e si opta per la tranquillità, la serenità, la bella facciata sociale, si rischia di vivere una vita imperfetta, una vita da frustrati, avvolti da un freddo interiore, con la paura di sparire, di essere uno dei tanti, cioè nessuno.
Come denunciato da de André in “Un chimico” una vita piatta, scialba ma rispettosa delle imposizioni sociali porta alla disillusione e apre il passaggio all’annichilimento esistenziale, emotivo e sentimentale (Guardate il sorriso, guardate il colore, come giocan sul viso di chi cerca l'amore. Ma lo stesso sorriso, lo stesso colore, dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore, dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore?).
A corredo del testo c’è un bellissimo video girato a Villa Arconati, dimora settecentesca situata a Bollate (MI).
A fare da sfondo al monologo dell’uomo c’è un’atmosfera malinconica, in cui una ballerina (la nostra vita), tolto il velo della ipocrisia (aperti gli occhi), si mostra nella sua vera triste essenza, cioè come un’affascinante ma infelice ballerina che giace, anemica (senza sangue, cioè senza vitalità), impedita, a terra e non riesce a muoversi … coperta da tanti inutili fronzoli (sociali), in una casa maestosa, ma oramai vuota e fredda.
Cerca con fatica di sollevarsi, aiutandosi con due stampelle. Si muove con difficoltà e sofferenza e di nuovo cade a terra … mentre un’altra ballerina (il sistema) tira le fila come una burattinaia. È lenta, sofferente, incerta sui suoi passi. Emblematica è la ricerca della luce sotto le finestre che permettono al sole di penetrare nelle grandi ma buie, vuote, fredde e umide stanze della nostra esistenza.
Ma non appena Marlena (la bionda con la giacca a quadri) “torna a casa” tutto si trasforma, si libera da ogni imprigionamento fisico e mentale (“da queste catene splendenti, lucide”). Niente più stampelle e i movimenti diventano sicuri, fieri, decisi… e l’ambiente, prima vuoto, freddo e buio, adesso si popola, illumina e riscalda. É la liberazione totale, è la Vita.
Il videoclip si chiude con la paura dell’uomo che tuona come ammonimento: se Marlena non ritorna ho paura di sparire. Marlena scompare annegando in una vasca d’acqua e, contemporaneamente, le sue mani gli coprono gli occhi, impedendogli di vedere il mondo e sé stesso.
Video ufficiale dei Maneskin
Cammino per la mia città/Ed il vento soffia forte: la mia città è la vita interiore. Il vento soffia forte è l’inquietudine che assale il protagonista.
Mi son lasciato tutto indietro e il sole all’orizzonte: per Marlena (l’ideale di libertà), sono stato costretto ad abbandonare tutto ciò che finora, nella mia vita, avevo costruito. Ma davanti a me, all’orizzonte, ho il sole, la luce della vita vera.
Vedo le case, da lontano,/hanno chiuso le porte: quando si intraprendono percorsi introspettivi di rivisitazione accade spesso non solo di perdere tutto ciò per cui si era investito, ma anche di doversi allontanare dal precedente “sé” e dal contesto nel quale si era vissuti fino a quel momento (vedo le case da lontano) e, per questo, essere visti come “non normali” ed essere, per questo allontanati ed evitati (hanno chiuso le porte).
Ma per fortuna ho la sua mano e le sue guance rosse: per fortuna, però, che a sostegno c’è Marlena, che non è un ideale astratto e utopistico, bensì reale, vivo e vitale, con tanto di guance rosse irrorate dal sangue.
Lei mi ha raccolto da per terra coperto di spine/Coi morsi di mille serpenti fermo per le spire: spine e serpenti sono simboli religioso/sociali legati al peccato e alle colpe. “Fermo per le spire” vuol dire imprigionato dalle regole sociali del sistema che, come un serpente, avvolge, attanaglia e immobilizza.
Non ha ascoltato quei bastardi e il loro maledire: e meno male che Marlena non ha dato ascolto a coloro (quei bastardi) che, facendo leva sui sensi di colpa e di peccato, inducono a soffocare la propria essenza, il proprio sentire interiore… la propria vita.
Con uno sguardo mi ha convinto a prendere e partire: non tanto le parole, quanto lo sguardo, la penetrazione degli occhi mi ha convinto a intraprendere il viaggio dentro di me.
Che questo è un viaggio che nessuno prima d'ora ha fatto/ Alice, le sue meraviglie e il Cappellaio Matto: si tratta di un viaggio introspettivo, mai fatto prima, che assomiglia molto a quello di Alice. Alice nel paese delle meraviglie, infatti, non è una semplice favola, ma una metafora dell’esistenza umana, la storia di una donna che, nel corso della sua vita, affronta la paura di cambiare. Alice scopre un mondo nuovo, strano, mai visto prima e del quale è venuta casualmente a conoscenza, cadendo in una buca mentre rincorreva il Bianconiglio. Paradossalmente, quel mondo non era molto distante, era sotto i suoi piedi (metaforicamente, dentro di sé).
Il Cappellaio Matto è un personaggio svitato del Paese delle Meraviglie che ha un orologio da taschino che non segna l’ora, per cui passa le giornate perennemente nella stessa condizione: l’ora del tè. Simbolicamente, la sua figura è riconducibile al tempo negato, al tempo immobile e stagnante.
Cammineremo per 'sta strada e non sarò mai stanco/Fino a che il tempo porterà sui tuoi capelli il bianco: insieme a Marlena (ideale di libertà) camminerò sulla strada della vita libera e incondizionata e lo farò, senza mai stancarmi, fino a quando questo ideale resterà vivo e vitale (fino a che il tempo porterà sui tuoi capelli il bianco).
Che mi è rimasto un foglio in mano e mezza sigaretta: il foglio e la sigaretta sono due metafore della vita. Il foglio rappresenta una residua pagina bianca (del libro della vita) ancora nelle sue mani e sulla quale può finalmente scriverci qualcosa di “suo”. La sigaretta, già fumata a metà, rappresenta la rimanente parte di vita che gli resta ancora da fumare (perché l’altra parte l’ha già “bruciata”).
Restiamo un po' di tempo ancora, tanto non c'è fretta /Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta: la frase in testa mai detta è riferita ai sogni e desideri solo sognati e bramati, ma mai realizzati… addirittura, neanche consapevolizzati, perché soffocati e occultati dai bastardi e dal loro maledire.
Perché la vita, senza te, non può essere perfetta: perché la vita senza di te non ha alcun senso.
Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire /Quindi Marlena torna a casa, che non voglio più aspettare /Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire /Quindi Marlena torna a casa, che ho paura di sparire: senza Marlena la vita non è perfetta e forse non ha alcun senso. Quindi, Marlena torna di nuovo a casa, cioè con me. Solo così potrò rinascere ed essere pienamente me stesso. Diversamente, finisco col divenire schiavo e, al tempo stesso, complice di questa schiavitù, che viene non solo accettata ma addirittura assunta a valore.
Senza Marlena rischio di vivere una vita scialba, avvolto da un freddo interiore, con la paura di sparire, di perdere la mia identità e, quindi, di essere nessuno.
E il cielo piano piano qua diventa trasparente /Il sole illumina le debolezze della gente: “salendo” nella discesa interiore, le nubi si diradano e la vista si acuisce, consentendo alla luce della mente (il sole) di cogliere i lati oscuri e le contraddizioni (debolezze) degli altri, quegli altri che, nella vaghezza della nebbia, appaiono come impeccabili e invidiabili figure.
Una lacrima salata bagna la mia guancia/mentre Lei con la mano mi accarezza in viso dolcemente: il percorso della salita non è per niente semplice e si correla, inevitabilmente, a dolore e amarezza (lacrima “salata”). Ma Marlene è lì, pronta a sostenere e ad alleviare la sofferenza con la sua dolcezza.
Col sangue sulle mani Scalerò tutte le vette: nonostante la sofferenza e il dolore che trasudano sangue dalle mani, supererò ogni ostacolo, tabù e contraddizione psicologica…
Voglio arrivare dove l'occhio umano si interrompe: … per arrivare laddove il comune vedere si ferma. Peccare, trasgredire, sfidare… significa andare oltre, rompere i limiti e gli schemi imposti, quei confini di “buonsenso” che impediscono di salire (la cosiddetta zavorra esistenziale). Le strade per la vetta sono però insidiose, ma non per questo da evitare. Marlena è l’anima che ci permette di percorrerle: lo strumento e il fine.
Per imparare a perdonare tutte le mie colpe: e arrivando là dove il comune occhio umano si perde (cioè, non riesce a vedere), capire che le mie colpe, in realtà, non sono affatto tali ma preziosi e naturali afflati di vita. L’espressione “imparare a perdonare le mie colpe” è molto suggestiva e sta ad indicare il processo di reset che bisogna attivare per lavarsi di dosso l’onta del peccato o delle colpe che da soli ci siamo messi.
Perché anche gli angeli, a volte, han paura della morte: perché anche gli esseri immortali (gli angeli) hanno paura della morte. Metaforicamente: perché neanche l’illusione della fede (e, quindi, dell’immortalità) placa il timore della morte. Per cui, a fronte dello scorrere inesorabile del tempo è opportuno evitare di dilapidare la preziosa vita, vivacchiando e dimorando come ombre di anime in disfacimento.
Che mi è rimasto un foglio in mano e mezza sigaretta: il foglio è una delle pagine del libro della vita e la mezza sigaretta simboleggia la rimanente parte di vita ancora da fumare (perché l’altra parte l’ha già “bruciata”).
Corriamo via da chi c’ha troppa sete di vendetta: la sete di vendetta ce l’hanno i custodi del sistema (i bastardi), cioè coloro che si battono per la difesa del sistema, pena la disintegrazione del proprio valore, valore per il quale hanno investito tutta la propria esistenza.
Da questa terra ferma perché ormai la sento stretta/Ieri ero quiete perché oggi sarò la tempesta: la terra ferma è la vita serena e quieta vissuta all’ombra dell’acquiescenza (accettazione passiva). Vita insipida e scialba che sta stretta a coloro che aspirano ad essere qualcosa in più che semplici marionette mosse dai fili. Senza Marlena c’è quiete nella vita (che diventa una terra ferma), ma è una quiete che uccide. Per vivere la propria esistenza e goderne di essa bisogna imparare ad accettare Marlena, cioè i propri sentimenti, le proprie emozioni e le “imperdonabili” azioni che ne derivano e sostituire la scialba e stagnante quiete con la tempesta. Per cui, se prima ero quiete adesso che so, mi trasformo in una tempesta.
Prima di te ero solo un pazzo, ora lascia che ti racconti: prima ero un folle, conducevo una vita non-mia, perché obbligato nei binari del sistema. Ora, invece, so cos'è veramente vivere: assaporare il gusto vero dell'amore, quello liberante, non opprimente, quello che ti restituisce pienamente a te stesso.
Avevo una giacca sgualcita: la giacca sgualcita è il vestito misero dell’acquiescenza (accettazione passiva delle regole e delle imposizioni).
portavo tagli sui polsi: ed ero un morto vivo e senza sangue.
Oggi mi sento benedetto e non trovo niente da aggiungere: ma adesso che Marlena è tornata a casa (nella mia vita) mi sento benedetto, perché sono libero da giacche sgualcite e catene splendenti e null’altro mi manca.
Questa città si affaccerà quando ci vedrà giungere: la città (la vita interiore) che prima aveva chiuso le porte quando il vento soffiava forte, adesso le riaprirà quando mi vedrà in compagnia di Marlena.
Ero in bilico tra l’essere vittima e l’essere giudice: senza di lei ero in bilico tra l’essere una vittima apatica di una società malata ed essere un giudice severo di me stesso e degli altri. Tutto, fuorché “protagonista” della mia vita.
Era un brivido che porta la luce dentro le tenebre: il desiderio di Marlena impressiona e fa tremare, ma porta la luce laddove regna il buio, la vita dentro la morte…
E ti libera da queste catene splendenti, lucide: ... e libera da ogni imprigionamento, spezzando quelle catene che col loro aspetto bello (lucide e splendenti) celano l’inganno della schiavitù. Esse rappresentano le sbarre della gabbia che imprigiona gli uomini e li condanna alla triste inesistenza in un mondo nel quale si illudono di vivere, di agire, di scegliere, di essere felici… ma sono, invece, vissuti, agiti, scelti… e tristemente infelici. Sbarre fatte di vincoli, tabù, ideologie, costrizioni, ignoranza e tanta, tanta, tanta suggestione. Sbarre delimitanti un mondo dove non c’è spazio per la ragione, perché ne rivelerebbe l’inconsistenza e l’inganno e, per questo, soffocata ad ogni sussulto di coscienza.
Ed il dubbio o no, se fossero morti oppure rinascite: … e, soprattutto, scioglie l’amletico dubbio sulla scelta fatta: una morte o una rinascita?
Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire /Quindi Marlena torna a casa, che non voglio più aspettare /Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire /Quindi Marlena torna a casa, che ho paura di sparire./ Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire /Quindi Marlena torna a casa, che ho paura di sparire: senza Marlena non rimane altro che l’abisso esistenziale, l’annientamento della propria esistenza: la non-vita.