Conservo con profonda gratitudine un prezioso scambio di email con il Prof. Silvio Garattini, avvenuto il giorno dopo l’evento One Day Agorà Science Contest (10 febbraio 2020).
Quelle parole, sincere e colme di stima, rappresentano per me un riconoscimento che va oltre il semplice ringraziamento: sono il segno tangibile di un dialogo intellettuale e umano che ha dato valore e significato a quel momento speciale.
Questo scambio rimane uno dei ricordi più cari di quell’esperienza, un piccolo tesoro di incoraggiamento e rispetto che custodisco gelosamente.
Dal 1998 al 2005 ho affrontato la sfida più ardua della mia vita professionale: la creazione dell’Mt 21-42, un dispositivo medico rivoluzionario capace di analizzare in tempo reale il succo gastrico durante un’endoscopia, offrendo un’immediata diagnosi sulla presenza di patologie o rischi tumorali gastrici.
L’idea germogliò nel lontano 1998, ma solo sette anni di lavoro appassionato e instancabile portarono alla progettazione, sviluppo del software, costruzione del prototipo, validazione clinica e brevetto.
In questo percorso ho dovuto abbracciare discipline diverse: medicina, chimica, elettronica, informatica. Mio figlio, Primiano, all’epoca tredicenne, contribuì in modo determinante scrivendo l’intera complessa sezione software. Un’avventura di vita e di scienza che ha segnato profondamente il mio cammino.
Nel 1997 vissi uno dei momenti più significativi della mia carriera scientifica: la pubblicazione di un articolo sul New England Journal of Medicine, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo. Fu un riconoscimento che onorò anni di lavoro e dedizione.
L’anno successivo decisi di approfondire ulteriormente quel lavoro, presentando una versione ampliata e più dettagliata sull’American Journal of Gastroenterology. Con grande soddisfazione, lo studio attirò l’attenzione della comunità scientifica internazionale e ricevette un editoriale dedicato, firmato da Lennart Dothelloff del Medical Center Hospital di Debro, in Svezia.
Quel commento elogiativo, che metteva in luce l’importanza e l’innovazione della ricerca, fu per me motivo di profondo orgoglio e conferma del valore di un lavoro portato avanti con passione e rigore.
Negli anni ’90, prima dell’avvento di Internet e della digitalizzazione delle pubblicazioni, la diffusione della ricerca scientifica avveniva soprattutto tramite copie cartacee chiamate “reprint”. Ricordo con vivida emozione le decine, a volte centinaia, di richieste che giungevano da ogni angolo del mondo: da ricercatori di paesi lontani, da università prestigiose, da laboratori di frontiera.
Ogni richiesta rappresentava per me molto più di un semplice invio di un articolo: era un segno tangibile di interesse, un riconoscimento silenzioso ma potente della rilevanza del mio lavoro. Questi momenti alimentavano il mio orgoglio personale e rinforzavano la motivazione a proseguire nella ricerca con impegno e dedizione.
Nel 1993 partecipai al congresso mondiale di Gastroenterologia a Boston con un poster che ancora oggi ricordo con affetto e orgoglio (e che conservo). A differenza della maggior parte dei poster in bianco e nero, il mio si distingueva per i colori vivaci e per una grafica innovativa, realizzata con la prima versione di Corel Draw, uno dei primissimi software di grafica vettoriale.
La risposta fu sorprendente: una grande folla si radunò intorno al mio lavoro, attratta dall’originalità e dalla chiarezza delle immagini. Ricordo bene le ore intense passate davanti al mio vecchio PC 486, che impiegava da 3 a 5 ore per convertire ogni diapositiva nel formato JPEG necessario per la stampa su carta fotografica.
Quel poster non era solo una presentazione scientifica, ma il simbolo di un impegno meticoloso, di innovazione e di passione per la divulgazione scientifica.
Nel 1993 realizzai una diapositiva destinata alle presentazioni dei meeting nazionali, un’immagine che divenne presto una delle preferite del mio allora capo, il Prof. Roberto Corinaldesi.
Ricordo con nostalgia i tempi in cui le proiezioni si facevano con diapositive montate sui carrelli dei proiettori, un rituale che oggi sembra lontano, ma che rappresentava la cornice ufficiale e solenne della divulgazione scientifica.
Quella “carta d’identità” dell’Helicobacter pylori era più di una semplice immagine: racchiudeva anni di studio, osservazione e dedizione, presentati con la chiarezza necessaria per essere compresi e apprezzati da colleghi esperti e appassionati.
Il tesserino che portavo orgogliosamente sul camice durante la specializzazione presso l’Ospedale San’Orsola di Bologna, sotto la guida dei Professori Luigi Barbara e Mario Miglioli, è oggi un simbolo di quegli anni intensi di formazione e crescita.
Ricordo con emozione la mia prima parcella da medico: una somma di 20.000 lire, di cui una banconota da 10.000 lire (circa 10 euro) che conservo ancora con affetto. Era l’estate del 1987 quando effettuai una consulenza a domicilio a Marina di Lesina (FG), un’esperienza che segnò il passaggio concreto dal sogno alla realtà professionale. Quel piccolo compenso rappresentava molto più di un semplice guadagno: era il riconoscimento tangibile di anni di studio, sacrifici e impegno. Un traguardo personale che festeggiai con orgoglio e gratitudine.
Ogni voto riportato in questa raccolta è molto più di un semplice numero: è la testimonianza concreta di anni di studio instancabile, di notti passate a leggere, scrivere e approfondire con passione e dedizione.
Quei 30 e 30 e lode rappresentano il frutto di un impegno continuo, fatto di sacrifici personali, rinunce e la determinazione a eccellere in un percorso tanto difficile quanto appassionante.
Ogni risultato raggiunto ha segnato un passo importante lungo la strada verso la laurea in Medicina, un viaggio intenso che ha formato non solo le mie conoscenze, ma anche il mio carattere e la mia resilienza.
Rivedere oggi quei voti è un momento di orgoglio e di memoria, un ricordo vivido del prezzo pagato per trasformare un sogno in realtà.
Un ricordo tangibile degli anni di studio e dedizione in ambito accademico.
Un piccolo oggetto, semplice e apparentemente modesto, ma che per me ha rappresentato molto di più: il borsellino che mia madre cucì con le sue mani amorevoli, divenuto il mio compagno di viaggio inseparabile per oltre un quarto di secolo.
Dentro custodiva penne, matite, temperamatite, righelli… gli strumenti umili ma fondamentali con cui ho tracciato centinaia di migliaia di righe di testi, appunti, riflessioni e idee. Ogni segno scritto su carta portava con sé la fatica, la passione e la dedizione di ore interminabili di studio, prima all’università e poi nelle due specializzazioni.
Quel borsellino era molto più di un semplice contenitore: era un piccolo scrigno di sogni, di speranze e di fatica intellettuale. Quando lo tenevo in mano, sentivo il calore di chi mi aveva supportato fin dall’inizio, la presenza silenziosa di mia madre e la certezza che, con impegno e costanza, avrei potuto raggiungere qualsiasi traguardo.
Nel 1979, durante l’esame di stato conclusivo del liceo, oltre alle prove scritte di Italiano e Matematica e alle prove orali di Italiano e Geografia astronomica, decisi di affrontare una materia aggiuntiva che mi appassionava profondamente: la Filosofia.
Dedicarci molte ore di studio mi permise di immergermi nell’universo complesso e affascinante di Hegel. Lessi decine di testi, confrontandomi con idee complesse e stimolanti che accrebbero il mio spirito critico.
La tesi che ne scaturì fu il risultato di un lungo percorso di riflessione e approfondimento, dattiloscritta con cura sulla mia inseparabile Olivetti Lettera 32, uno strumento che accompagnava i miei primi passi nel mondo della scrittura e del pensiero.
Quell’esperienza segnò una tappa fondamentale nella mia formazione, accendendo in me una passione duratura per la filosofia e il rigore intellettuale.
Il quinto anno del liceo fu per me un vero e proprio punto di svolta. Dopo anni di risultati mediocri e un metodo di studio incerto, finalmente trovai la chiave per eccellere. Quel cambiamento nacque in gran parte da un regalo di compleanno molto speciale: un registratore audio.
Con questo strumento, cominciai a registrare le lezioni e a riascoltarle, imparando a comprendere in modo più profondo il contenuto degli insegnamenti dei miei docenti. Il registratore mi permise di scoprire tecniche di studio che avrebbero cambiato per sempre il mio approccio all’apprendimento.
Quel quaderno, pieno di appunti di geografia astronomica, custodisce oggi non solo nozioni scientifiche, ma la testimonianza di un momento di crescita personale e di scoperta del mio vero potenziale.
Era il 25 ottobre 1968, il giorno del mio ottavo compleanno, quando ricevetti (dall0'allora viceoparroco, Don Michele Leccisotti) un libro-premio scolastico che avrebbe segnato il destino della mia vita. Sulla prima pagina, con la mia scrittura infantile, tracciavo già una dedica semplice ma profonda: “Dott. Antonio Tucci”.
In quel gesto c’era tutta la forza di un sogno ancora bambino, ma già ben radicato: diventare medico. Quel desiderio, coltivato con la purezza e l’entusiasmo dell’infanzia, mi ha accompagnato per tutta la vita, guidando ogni mia scelta e ogni mio passo.
Quel libro non è solo un premio, ma il simbolo di una promessa fatta a me stesso, un impegno a seguire con passione la strada della cura e della conoscenza.