li incontri di ricerca sono occasioni programmate per approfondire e discutere un argomento scientifico specifico. Nel corso degli anni, sono stati innumerevoli gli incontri organizzati, tra cui quelli dedicati allo studio dell'Enterobius vermicularis, al pH dello stomaco, al morbo di Crohn, e infine gli incontri in videochiamata per lo studio sul COVID. Si tratta di vere e proprie mini-full immersion monotematiche.
I partecipanti, generalmente allievi e docenti provenienti da classi diverse, si uniscono in gruppi di lavoro specifici, ognuno dei quali si occupa di un aspetto particolare dell’argomento trattato. Gli incontri hanno come scopo principale la messa a punto di strategie metodologiche, l’analisi e la discussione dei risultati di uno studio, oppure la redazione di un articolo scientifico relativo a uno studio completato.
La maggior parte di questi incontri si è svolta a casa mia, solitamente nella tavernetta, nel mio studio, o sotto il porticato, creando un ambiente informale ma altamente produttivo per il confronto scientifico.
Tra tutti gli incontri di ricerca svolti, quelli più suggestivi sono stati i video meeting per lo studio COVID. Senza dubbio, l'idea di intraprendere una ricerca scientifica nel periodo più critico della storia recente dell'umanità (marzo-giugno 2020) si rivelò un'intuizione geniale. Eravamo in piena pandemia, confinati in casa dalle rigide restrizioni. Ci sentivamo attoniti, smarriti, sconcertati e annichiliti. Improvvisamente, la possibilità di fare qualcosa sembrava svanita.
Stavo tornando da Napoli, dove avevo accompagnato mio figlio Francesco, che partiva per un periodo di ricerca in Olanda. Durante il viaggio in autostrada, riflettendo sulle notizie che arrivavano dai media sul COVID, mi si accese una lampadina: il SARS-CoV-2 poteva avere un punto debole nell'eccessiva sensibilità al calore. Decisi subito di chiamare Aldo Ummarino, che in quel momento si trovava a Milano, chiedendogli di fare una rapida verifica sui pochi studi pubblicati riguardo al SARS-CoV-2. La risposta di Aldo confermò il mio sospetto: il SARS-CoV-2, a differenza del virus influenzale, non causava febbri alte; la maggior parte dei pazienti (anche quelli gravi) presentava solo un modesto rialzo febbrile o non aveva febbre.
Il giorno successivo, tornato a casa, ne parlai con i ragazzi dell’Agorà durante una videochiamata organizzata per discutere questioni logistiche del Corso di Scienze Biomediche. Nacque una discussione appassionata, e fu in quel momento che proposi di avviare uno studio per verificare la validità della mia tesi. Quella proposta si rivelò più azzeccata che mai. Da quel momento, siamo partiti con slancio e nessuno ci ha più fermati. Il lockdown, anziché fermarci, non ci ha nemmeno scalfiti: eravamo talmente immersi nello studio e nell'entusiasmo che generava, che le limitazioni imposte dal governo ci scivolavano addosso senza che ce ne accorgessimo.
Ogni sera, avevamo un incontro fisso su Google Meet per discutere i progressi. Ci eravamo divisi in gruppi di lavoro, ciascuno impegnato a esplorare un aspetto specifico del problema. I primi risultati iniziarono a corroborare la nostra tesi: la diffusione del COVID era maggiore nelle regioni fredde e poco soleggiate del mondo, mentre era meno significativa nelle aree calde, indipendentemente dalle normative di restrizione adottate dai vari paesi. A questo punto decisi di coinvolgere anche Francesco, che era in Olanda, e Aldo Ummarino, che stava proseguendo il suo dottorato di ricerca all'Humanitas di Milano.
Quando i dati cominciarono a crescere (abbiamo trattato oltre un milione di dati!), e l'analisi divenne sempre più complessa, decisi di chiedere aiuto alla professoressa Alessia Spada, una carissima amica e esperta di Statistica dell'Università di Foggia. Così, avevamo costituito una vera e propria armata scientifica. Più andavamo avanti, più lo studio si complicava, ma alla fine ci siamo riusciti. A gennaio 2021, Scientific Reports, una rivista di prestigio del gruppo editoriale Nature, ha accettato il nostro lavoro per la pubblicazione. Tra gli autori figuravano numerosi ragazzi dell'Agorà, molti dei quali ancora liceali.
La gioia di aver raggiunto questo traguardo fu immensa, e la soddisfazione di tutti, enorme. Il nostro lavoro aveva trovato spazio in una delle riviste scientifiche più prestigiose, a testimonianza del talento e della passione che avevamo investito in questa straordinaria avventura.
La situazione pandemica è piombata improvvisamente, interrompendo il regolare corso della vita di tutti. Le giornate scorrevano, ma la lista delle cose da fare per distrarsi e non pensare a tutto ciò che stava accadendo fuori diventava sempre più vuota.
Fu proprio in questo difficile contesto che Antonio (il presidente dell’Agorà), ha l’idea di intraprendere uno studio sul SARS-CoV-2. La finalità era quella di offrire un diversivo che ci tenesse impegnati e uniti, ma, al tempo stesso, anche un’occasione per stimolarci e trasformare una condizione molto negativa in un’opportunità, secondo la sua tanto sostenuta tesi per la quale la felicità va costruita e non attesa.
Al di là dei risultati, sarebbe stato comunque un momento di crescita per noi e sicuramente un modo per vivere meglio e rendere stimolante un periodo altrimenti triste e arido di stimoli. In molti abbiamo accettato la proposta e siamo subito partiti col lavoro.
L’obiettivo era verificare se ci fosse una correlazione tra diffusione del COVID-19 e fattori climatici e demografici. Cioè, vedere se la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2 dipendeva dai fattori climatici (quali e in che misura) e dai fattori demografici.
Ben presto, però, ciò che era partito come un gioco, si è trasformato in un duro lavoro, di alto profilo scientifico, ma anche molto complesso. E come spesso accade in questi casi, all’aumentare del valore aumenta il carico di lavoro necessario per realizzarlo.
Abbiamo trascorso giornate intere a cercare, ripulire, organizzare e analizzare dati, arrivando a gestirne fino a 2 milioni.
Quando la cosa iniziava a crescere e i risultati si prospettavano interessanti, Antonio ha saggiamente tirato dentro allo studio la Dr.ssa Alessia Spada, esperta di Statistica dell’Università di Foggia, per processare i dati ed effettuare su di essi complesse analisi statistiche, mai sperimentate su quel tipo di dati. Inoltre, ha chiesto ai “veterani” di Agorà, Francesco Tucci (che stava lavorando a progetti di ricerca presso l’Erasmus University di Rotterdam, in Olanda) e Aldo Ummarino (che era impegnato come ricercatore presso l’Humanitas University di Milano) di unirsi al team. Era necessario lo sforzo e l’impegno di tutti, se si voleva ottenere un risultato di un certo livello. Fu così che quello che era nato come un gioco divertente si è progressivamente trasformato in un affascinante e stimolante avventura nel mondo della scienza.
Tutte le sere, alle 19:30, ci incontravamo su Google Meet. Era un appuntamento costante e molto atteso. Era l’occasione per valutare l’andamento dei lavori, per confrontarci, per scambiarci idee e per partorire nuovi percorsi da intraprendere. Ma era anche (e soprattutto), un’occasione piacevolissima di scambio e di relazioni umane. Si parlava di altissima scienza, ma anche di cavolate per ridere. Eravamo dislocati in posti molto diversi e molto distanti (Foggia, San Severo, Lucera, Lesina, Piacenza, Milano e Rotterdam)… ma ci sentivamo straordinariamente vicini, compagni in un viaggio avventuroso verso una meta impossibile ma intrigante.
Abbiamo imparato un sacco di cose nuove: tecniche di analisi e di processamento dei dati, calcoli statistici, concetti di epidemiologia e infettivologia. Siamo arrivati finanche a smanettare nei siti della NASA, del WHO (Organizzazione mondiale della sanità), dell’UNESCO e nei libri della CIA (US Central Intelligence Agency).
Il lavoro, che sarebbe dovuto durare qualche settimana, si è invece protratto per diversi mesi. Alla fine, però, è nato uno dei migliori studi presenti nella letteratura scientifica sul tema. Abbiamo provveduto così a scrivere l’articolo e a inviarlo ad una rivista scientifica. Per la rilevanza dei risultati e delle conclusioni cui eravamo giunti, si è deciso di proporre l’articolo ad una rivista molto autorevole, optando per Scientific Reports, del gruppo editoriale Nature, uno dei più importanti e prestigiosi promoter editoriali del mondo della scienza. Come succede in questi casi, l’editore della rivista, dopo un iniziale vaglio di idoneità, sottopone l’articolo e i dati annessi ai reviewer, scienziati esperti nel settore che, col ruolo di giudice, hanno il compito di analizzare lo studio per verificarne l’attendibilità, l’appropriatezza degli strumenti adottati e la correttezza dei metodi impiegati. Lo scambio di corrispondenza tra il team di ricercatori dell’Agorà e i reviewer è durato mesi. Durante questo lungo periodo sono stati richiesti ulteriori dati e altre analisi che hanno comportato un estenuante lavoro. Alla fine, però, quando oramai eravamo sfiniti, arriva (il 23 marzo 2021) il tanto agognato messaggio dall’editore: “We are delighted to let you know that your manuscript has been accepted for publication in Scientific Reports” (siamo lieti di farvi sapere che il vostro articolo è stato accettato per la pubblicazione in Scientific Reports). La gioia di noi tutti era incontenibile. Sembrava impossibile: giovani ragazzi di 14-20 anni sono divenuti protagonisti e autori di uno studio scientifico di alto livello, scrivendo il loro nome nel firmamento della Scienza. Non so se una cosa del genere si è mai verificata prima; certamente è insolita e ha più il sapore di fiaba che di cronaca.
Avevamo certamente fatto un passo davvero molto più grande della nostra gamba, ma siamo stati forti e determinati, non siamo caduti e siamo andati molto lontani. La lezione imparata è stata la conferma di un vecchio e ripetuto insegnamento di Antonio: lancia il cuore innanzi a te e corri a raccoglierlo.