L'intuizione che ha portato alla ideazione e poi alla realizzazione dell'Endofaster, nasce nel mese di gennaio 1998. In quel periodo collaboravo col Prof. Giancarlo Caletti (Gastroenterologia, università di Bologna) e stavo conducendo una ricerca sulle gastriti atrofiche, condizioni patologiche che sfuggono spesso alla diagnosi. Nel corso delle sperimentazioni, mi resi conto che il succo gastrico, che normalmente viene aspirato e buttato via durante la gastroscopia, poteva fornire informazioni molto preziose sulla condizione di salute dello stomaco e quindi poteva consentire la diagnosi di malattie.
Fu così che iniziai a coltivare l'idea di progettare un dispositivo che potesse misurare particolari parametri del secreto gastrico e, tramite questi, individuare la presenza di malattie e/o di condizioni di rischio tumorale dello stomaco. Come prima cosa, assemblai un po' di schede di elettronica per poter effettuare delle misurazioni che confermassero la bontà dell'idea di base che avevo. Successivamente, chiesi al Dr. Attilio Marchegiani (responsabile dell'ambulatorio di Endoscopia digestiva dell'ospedale T. Masselli di San Severo - FG) la cortesia di fornirmi uno spazio in cui potermi appoggiare con gli strumenti e il permesso di recuperare e utilizzare il succo gastrico che, aspirato dallo stomaco dei pazienti durante le gastroscopie, finiva nel bidone di scarico. La disponibilità di Attilio fu grande; c'era però un problema: nel vecchio ambulatorio di endoscopia non c'era spazio a disposizione. L'unico ambiente fruibile era il bagno. Fu così che, in poco tempo, allestii un bancone da laboratorio su un lettino/barella, nel bagno dell'endoscopia .
Lo studio pilota durò circa 1 mese e i risultati ottenuti erano in linea con l'ipotesi formulata. Si trattava, adesso, di realizzare un dispositivo che effettuasse in automatico quelle misurazioni e, da solo, prelevasse una parte dei campioni di succo gastrico destinati al bidone di scarico dei liquidi organici.
L'ideale sarebbe stato disporre di uno strumento che effettuasse le misurazioni nel tempo massimo di una gastroscopia (2-3 minuti). Infatti, oltre a diagnosticare alcune patologie dello stomaco, il dispositivo avrebbe dovuto evitare all'endoscopista di eseguire le biopsie quando non necessarie ma effettuarle solo in presenza di fattori di rischio. Inoltre, attraverso la misurazione del grado di acidità dello stomaco, avrebbe anche consentito di individuare condizioni patologiche (per esempio, le gastriti atrofiche) che molto spesso sfuggono alla diagnosi.
All'inizio, lo schema concettuale immaginato era semplice (figura in alto): una unità di misurazione, due sensori, una elettrovalvola e una centralina di lettura dei sensori. Avendo un po' di basi di Elettronica, mi sono subito messo all'opera. Ben presto, però, mi resi conto che le cose erano molto più complicate di quanto immaginassi. Era infatti necessario ottenere una velocità di misurazione estremamente elevata e una precisione maniacale dei parametri da misurare. Inoltre, tra una misurazione e l'altra, il dispositivo avrebbe dovuto pulirsi automaticamente e predisporsi per una nuova misurazione. Anche qui, il tutto doveva avvenire in automatico e nel più breve tempo possibile, perchè l'intervallo tra due esami endoscopici non è lungo e può essere anche molto breve in alcune unità di endoscopia digestiva.
Fu così che uno schema ben più complesso (figura in basso) prese il posto dell'allettante schema iniziale. A questo punto, però, le cose si complicavano. Pilotare numerse elettrovalvole, due motorini, una pompa, leggere i sensori, fare dei calcoli, fornire degli output semplici da interpretare (magari mediante sintesi vocale)... richiedeva notevoli competenze di Elettronica. Purtroppo, le mie conoscenze non erano avanzate; affondavano le radici nel Corso di Radio Stereo a Valvole e Transistor della Scuola Radio Elettra di Torino che avevo seguito 20 anni prima, ai tempi del liceo. Per il progetto, invece, era necessario ricorrere ai microcontrollori e ai convertitori A/D, che non sono affatto semplici da manipolare, perché bisogna saperli programmare e questo non era alla mia portata.
Insieme ad un mio caro collaboratore, Poli Loris, ricorremmo all'aiuto di due ingegneri di un'azienda bolognese che produceva elettromedicali. Collaborammo con loro per oltre 4 mesi, ma il tentativo risultò vano. I prototipi proposti non erano precisi. Inoltre, ogni volta che se ne sperimentava uno, bisognava aspettare settimane prima di averne un altro con le modifiche suggerite.
In quel periodo, accadde che la rivista Nuova Elettronica (alla quale ero abbonato), pubblicò una serie di articoli sulla programmazione dei microcontrollori ST6, offrendo dei kit per "autocostruirsi" l'apparato di programmazione e di sperimentazione degli ST6. Ci feci subito un pensierino, ma il timore di non esserne all'altezza da una parte e il costo elevato dei kit (circa 1.500.000 lire) dall'altra, mi fecero desistere.
Un giorno, durante una pausa pranzo, ne parlai con Loris, il quale, senza pensarci due volte, mi disse che l'idea avuta era troppo bella per doverci rinunciare e che lui era disposto a sponsorizzare l'acquisto dei kit coi suoi soldi, sicuro che io sarei riuscito a realizzare il dispositivo che avevo in mente. La sua fiducia in me fu così disarmante e convincente che la settimana successiva ne parlai con mia moglie e decidemmo di acquistare i materiali da Nuova Elettronica. Mi misi subito a studiare il linguaggio di programmazione dei microcontrollori (Assembler). Dopo poco più di 2 settimane avevo già assemblato tutti i componenti e le schede di sperimentazione dei kit e avevo divorato gran parte del manuale di programmazione.
Entusiasmato dalle potenzialità dei microcontrollori, decisi di insegnare a mio figlio Primiano (all'epoca tredicenne) il linguaggio di programmazione Assembler. Ricordo che, essendo molto impegnato, portavo Primiano con me nei turni di guardia medica a Serracapriola (FG) e nelle pause notturne, tra un paziente e l'altro, gli spiegavo l'Assembler e l'elettronica degli ST6. Dopo qualche mese, Primiano aveva imparato il linguaggio di programmazione. Non solo, ma iniziava anche a smanettare con disinvoltura con l'elettronica.
Ad un certo punto accadde che Primiano divenne più bravo di me, tanto che il software di programmazione del dispositivo lo compilò interamente lui. Si trattava di decine di pagine di programmazione, con le quali gestire non uno, ma due microcontrollori, più una scheda audio per la sintesi vocale, due convertitoti A/D e una scheda display. Alla fine... Primiano è diventato un ingegnere informatico e dopo il dottorato di ricerca a Bologna si è trasferito a Londra dove lavora presso Google UK Ltd, in qualità di software engineer manager.
Bisognava dapprima fare il progetto al PC, quindi stampare lo schema su un foglio lucido. Poi, le immagini di questo venivano trasferite su piastre ramate fotosensibli, mediane un particolare strumento, chiamato bromografo. Dopo la sensibilizzazione coi raggi UV, le piastre venivano immerse dapprima in un bagno di cloruro di ferro e poi bloccate con l'idrossido di sodio. Quindi ripulite e lucidate; infine forate in corrispondenza delle aree dove dovevano essere saldati i componenti elettronici. L'intero processo era molto delicato e bastava un piccolo errore per compromettere il lavoro di mezza giornata. Di schede ne ho prodotte a decine (forse un centinaio) e alla fine riuscivo anche a produrre schede professionali a doppia faccia (con piste su entrambe le facce della scheda, interconnesse elettricamente tra loro).
Inoltre, per fare le piastre era necessario disporre di un bromografo, apparecchio molto costoso, che non avevo. E così ne realizzai uno, secondo la più nobile delle arti (DIY = Do It Yoursef). Idem per l'apparecchio per cancellare le EPROM dei microcontrollori; me ne sono realizzato uno all'interno di un pezzo di canala per cavi elettrici. Altrettanto è successo con l'agitatore a velocità regolabile, per il lettore delle sonde e per i prototipi necessari per sperimentare alcune dinamiche idrauliche o di vuoto o di flussi d'aria. Io non avevo alle spalle un gruppo o un'azienda che mi sostenevano, né un budget economico su cui fare affidamento. Per tutto ciò che compravo, dovevo attingere dalla cassa della famiglia e, all'epoca, non eravamo messi bene economicamente. Per fortuna, in questo (e in molte altre cose pazze che ho fatto nella mia vita) ho avuto il sostegno e il supporto di mia moglie (Lucia) che mi ha sempre appoggiato e incoraggiato e mai una volta ostacolato.
Col passare del tempo, le funzioni che il dispositivo avrebbe dovuto svolgere aumentavano a dismisura e, di conseguenza, la complessità e le difficoltà. Nei quattro anni di gestazione, trasformai progressivamente lo studio di casa in un laboratorio. C'era un banco per la sezione dedicata all'idraulica e alla meccanica, un bancone con gli strumenti per la sezione di Elettronica e un piano per PC e accessori. Il tempo trascorso in quello studio è stato infinito e lo scorrere di esso era dettato unicamente dalle albe e dai tramonti. Il disordine regnava sovrano.
Il garage, invece, era il luogo dove modellavo le parti metalliche e quelle in plastica, nonché il luogo dove sviluppavo le schede di elettronica. Il processo di generazione delle schede era alquanto complicato.
Dopo oltre tre anni di duro lavoro, finalmente giunse il giorno in cui il dispositivo era pronto. La gioia era immensa. Trovai anche il nome da dargli: doveva chiamarsi Mt 21-42. Tale appellativo era legato ad un passaggio (21-42) del vangelo di Matteo che recita: la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo. Trovai molto suggestivo il nome dato perché sottolineava il fatto che il dispositivo, utilizzando il succo gastrico normalmente aspirato durante una gastroscopia (per pulire lo stomaco) e buttato via (la pietra scartata dai costruttori) riusciva, attraverso l'analisi di alcune sostanze presenti in esso, ad individuare malattie e condizioni di rischio tumorale, diventando così il principale strumento di diagnosi endoscopica (la testata d'angolo).
Insieme a mio figlio Primiano, mettemmo a punto il software e provammo le diverse sezioni della macchina: tutto funzionava alla perfezione. Era praticamente fatta. Ricordo che festeggiammo l'evento a casa e facemmo delle foto ricordo. Bisognava, però, fare ancora delle verifiche di precisione sulle misurazioni che l'Mt 21-42 effettuava. Si trattava di far analizzare al dispositivo una serie di campioni simulanti il succo gastrico. Qui accadde una cosa sconvolgente: ogni volta, dopo 3-4 misurazioni iniziali, la macchina dava dei valori sballati, che peggioravano col procedere degli esami. La delusione fu enorme. impiegai diversi giorni per capire come mai accadesse questo. Alla fine, ci arrivai: era una deriva delle sonde. In pratica le sonde utilizzate per la misura di alcune sostanze, dopo un po' iniziavano a dare valori sbagliati. L'anomalia era dovuta al fatto che le sonde lavoravano in una unità di misurazione nella quale, per una ventina di secondi, si veniva a creare il vuoto per effetto di un processo di aspirazione. Quel dannato vuoto mandava in deriva le sonde e le impediva di funzionare correttamente. Di questo difetto non ne erano a conoscenza neanche gli ingegneri della Thermo Scientific Orion, l'azienda statunitense che produceva le sonde. Una tragedia! Bisognava riprogettare interamente la sezione idraulica del dispositivo e, di conseguenza, rifare la sezione elettronica e riscrivere il software. Praticamente ripartire d'accapo ... o desistere.
Ci misi una decina di giorni per riprendermi dalla delusione. Subito dopo, però, ripartii più forte e determinato. Come prima cosa decisi di imparare ad utilizzare un programma di disegno elettronico professionale (Orcad): due mattoni da 400 pagine ciascuno. Questo mi avrebbe agevolato nella produzione delle schede di elettronica e semplificato la vita in caso di modifiche da apportare. Poi, migliorai la sezione idraulica, prevedendo una pompa per ciascuno dei serbatoi contenenti i liquidi impiegati nel processo di analisi. Infine, riprogettai l'unità di misurazione, concependola in una nuova versione che non creava il vuoto. A questo punto, poi, visto che c'ero, riprogettai anche il cabinet, la sezione di alimentazione e quella dei serbatoi. Implementai anche una scheda di sintesi vocale attraverso la quale l'Mt 21-42 avrebbe parlato. Contrariamente alla gran parte dei dispositivi medici in circolazione che pullulano di pulsanti e interruttorei, nel caso dell'Mt-21-42, per agevolare l'operato dei colleghi endoscopisti, avevo previsto un solo pulsante: quello di avvio dell'esame. In pratica, prima dell'inizio di una gastroscopia, l'endoscopista doveva pigiare solo quel pulsante e basta ... non doveva prendersi nessun altro fastidio. Il dispositivo avrebbe, infatti, operato in modalità automatica, informandolo, tramite messaggi vocali, della presenza assenza di malattie e dando preziosi suggerimenti per l'effettuazione delle biopsie sul paziente sottoposto all'esame (gastoscopia).
L'operazione di correzione e restyling durò oltre un anno. Alla fine (dopo un totale di 4 anni), l'Mt 21-42 venne finalmente alla luce. Rispetto alla versione precedente, era stato migliorato di molto, sotto ogni punto di vista. A febbraio 2002 iniziai le prime prove di simulazione: tutti i giorni (compreso i festivi), anche per 15 ore al giorno, conducevo test di verifica per vedere come si comportava la macchina. Le prove andarono avanti per circa 6 mesi. All'inizio i valori forniti si discostavano sensibilmente rispetto al valore ideale. Poi, progressivamente, perfezionando il software e inserendo delle subroutine di correzione, si è riusciti ad azzerare quasi completamente l'errore. Funono necessari oltre 4.000 test!
Questa volta, però, era davvero fatta!